Santa Messa 50o Anniversario Sacerdozio Don Vincenzo Carnevale, Paola 1 Agosto 2020
30a Domenica Ordinaria, 26 Ottobre 2025
O Dio, abbi pietà di me peccatore
Oggi, con la Parabola
del fariseo e del
pubblicano,
riportata solo dal
Vangelo di Luca, che
rivela l’infinita
misericordia di Dio,
Gesù, da vero Maestro di
vita, che nulla lascia
in sospeso ma, tutto
porta a compimento,
oggi, vuole farci
concentrare, ancora una
volta, sulla qualità
della vera preghiera che
dipende dalla “fede"
dell’orante umile,
penitente, riconoscente,
perseverante e fidente,
e non da ciò che “fede”
non è, ma è
presunzione
superba ed arrogante
della propria giustizia
che, non solo impedisce
di pregare
autenticamente, ma,
ostacola
irrimediabilmente di
essere “giustificato”.
“Due
al tempio a pregare:
uno
era fariseo e l’altro
pubblicano”
Al tempo
di Gesù, i farisei,
osservantissimi della
Legge scritta e delle
Tradizioni orali,
godevano di stima e
rispetto, mentre il
pubblicano è un
funzionario di dubbia
moralità, a servizio di
un governo occupante
straniero e di se
stesso, in quanto si
arricchisce
disonestamente,
approfittando nel suo
mestiere, soprattutto,
della povera gente
indifesa ed inesperta.
Il rapporto con Dio
dei due protagonisti
della parabola, si
evince da ciò che
passa nel loro cuore
e nella loro mente,
rivelato attraverso
le loro parole e i gesti
del loro corpo. Il
primo, il Fariseo, fa l’elogio
di se stesso: sta in
piedi da solo, è sicuro
di sé, non ha bisogno di
nulla e di nessuno,
basta a se stesso! La
sua “preghiera” si
racchiude in un monologo
con se stesso: è
venuto a pregare’ sé
stesso ed elenca i suoi
meriti, per nulla deve
ringraziare, ha fatto
tutto Lui, quello che ha
fatto è merito tutto
suo, non ha bisogno di
Dio, non ha nulla da
attendere da Lui; è a
posto, ha tutto perché
fa tutto da sé, non deve
ringraziare nessuno,
perché quello che ha e
quello che è, è merito
tutto e solo suo! Al
Tempio non si reca per
ringraziare Dio, ma per
riconoscere sé stesso e
lodarsi e auto
incensarsi e
autocelebrarsi! Povero,
illuso praticante ateo
perché hai posto al
centro della tua vita e
della tua ‘preghiera’ il
tuo io, togliendo Dio:
ti stai appropriando di
Lui, facendone un
privilegio esclusivo,
stai escludendo gli
altri dal Suo amore, li
disprezzi, ti senti
superiore e migliore di
loro, li hai già
giudicati indegni e li
hai espulsi dalla
salvezza, in pieno
contrasto con la
missione di Gesù,
mandato dal Padre non a
“chiamare i giusti,
ma i peccatori a
conversione” (Lc
5,32).
L’atteggiamento
del supponente e
vanitoso fariseo, con la
sua falsa e ipocrita
“preghiera” che è un
soliloquio (“tra sé”) ed
una esaltazione di sé
stesso, oggi, è un
pericolo e una
tentazione costante
anche per ciascuno di
noi che molte volte ci
illudiamo di credere e
di saper pregare a modo
nostro e non secondo gli
insegnamenti ricevuti da
Gesù, con le Sue parole
e la testimonianza della
costante comunione con
il Padre.
Il pubblicano,
che non porta nulla da
offrire se non il suo
peccato, è salito al
tempio per fare l’elogio
e a ringraziare Dio per
la Sua misericordia e
bontà pietosa e
compassionevole: “Dio,
abbi pietà di me
peccatore”! E lo fa
con il cuore e con il
corpo “si ferma a
distanza”, non osa
nemmeno levare al cielo
lo sguardo, bussa più
volte al cuore (“si
batteva il petto”) per
chiedergli di confidare
solo nella misericordia
del Signore e
convertirsi al Suo amore
e proclamare solo la Sua
bontà infinita, che
supera ogni resistenza e
ogni rifiuto.
Gesù
conclude: “Io vi
dico: questi, a
differenza dell’altro,
tornò a casa sua
giustificato, perché
chiunque si esalta sarà
umiliato, chi invece si
umilia sarà esaltato”(cfr
il Canto di Maria,
Magnificat, Lc
1,51-53 e i “beati”
e i “guai”, Lc
6,20-26). Questi,
infatti, e solo questi,
ha preso coscienza di
essere povero e
bisognoso davanti a Dio,
e che non sono i nostri
meriti, presunti o
reali, a conquistare il
suo amore.
La Parola,
oggi, ci rivela che
Dio è nostro Creatore e
nostro Padre amorevole
verso tutti e con la Sua
predilezione verso i più
deboli, vulnerabili e,
soprattutto, verso gli
umili e gli ultimi
(Prima Lettura). Dio
vuole salvare tutti e la
sua salvezza è dono che,
sull’esempio di Paolo
che “ha combattuta la
buona battaglia”, “ha
conservato la fede”
e “sta per essere già
versato in offerta”,
va accolta, custodita,
vissu
ta e testimoniata
fino al compimento della
propria esistenza (Seconda
Lettura).
Nel
Vangelo, Gesù ci chiede
di essere sinceri e
vivere conformi al Suo
essere e al Suo agire,
nella fiducia della
giustificazione, che può
attualizzarsi, solo,
per chi e in
chi è umile e non si
esalta, né davanti agli
uomini né, tantomeno, di
fronte a Dio. L’umiltà
di riconoscere il
proprio debito di amore
nei confronti di Dio è
la fonte della gioia di
tornare a casa
giustificati.
Ultimo aggiornamento: 25/10/2025 - 10:13
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